15.09.10
Venezia '67
di ROBERTO FERRETTI
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Al festival di Venezia sempre più spesso, negli ultimi anni, la nostra attenzione è stata rivolta alle rassegne collaterali, come la “settimana internazionale della critica” o “ Le giornate degli autori”. Con grande capacità di muoversi nell’ambito internazionale delle produzioni, indipendenti gli organizzatori di queste due sezioni, sono puntualmente in grado di presentare al pubblico della mostra lavori sempre più convincenti che meriterebbero altrettanta attenzione dei nostri distributori.
Nell’ambito della rassegna “Le giornate degli autori”, abbiamo assistito ad uno degli incipit più coinvolgenti degli ultimi anni: una scena girata al rallentatore, musica rilassante in forte contrasto con le immagini. In un non ben identificabile conflitto bellico tra i tanti dimenticati, dei militari radono a zero un gruppo di bambini, forse prigionieri, un notaio dall’altra parte del Mondo, ai giorni nostri, da apertura ad un testamento contenente le ultime sconvolgenti volontà di una madre nei confronti dei propri figli gemelli, in una città del Canada.
Così inizia una delle più belle pellicole della sezione Venice Days, il film franco-canadese “Incendies” del regista Villenevue tratto dall’omonima pièce teatrale di Wajdi Mouawad. Una sceneggiatura pressoché perfetta, un trama che disorienta ma trascina lo spettatore tanto quanto i protagonisti del film. I figli poco più che ventenni, un maschio ed una femmina, devono consegnare una busta ad un padre e ad un fratello maggiore dei quali ignoravano l’esistenza, questo vuole una madre, dal passato oscuro, per poter riposare in pace.
Sempre “Le giornate degli autori” ha portato a Venezia Danis Tanovic, l’ex bambino prodigio del cinema europeo,che nel 2001, a soli trentadue anni, con il suo film d’esordio “No man’s land” vinse sia il festival di Cannes, che l’oscar come miglior film straniero. Negli ultimi tempi il regista Bosniaco si era un po’ smarrito, ma con questo ultimo lavoro, intitolato “Cirkus Columbia”, ha ritrovato la verve dei primi anni. Ritornato in patria per girare questo film, tratto dal romanzo omonimo di Ivica Djikic, Tanovic è riuscito a parlare della “sua” guerra in Bosnia, prima che la stessa scoppiasse, con i toni netti e semplici della commedia.
La storia è ambientata in un piccolo villaggio vicino a Mostar, dove Serbi e Croati convivono pacificamente. I ragazzi giocano assieme e condividono le rispettive passioni, nuotano nel fiume in estate o fanno un giro sulla giostra del paese (dal cui nome deriva il titolo del film) e gli adulti si ritrovano al bar della piazza per un bicchiere di vino. Il ritorno di Divko Buntic (un sempre bravo Miki Manojlovic) al villaggio natale dopo venti anni, e dopo essersi arricchito in Germania, dà la stura ad una serie di situazioni comiche e piccole tragedie familiari. Agli abitanti del paesino, che da lì a poco sarà preda della follia della guerra, non interessa ciò che accade al di fuori del loro borgo, ma l’insediamento di Divko, della giovane moglie e del gatto Boony preannuncia la fine della tranquillità. Divko, ricco e spaccone, caccia dalla casa dove hanno sempre vissuto la sua prima moglie e suo figlio, abbandonato per andare in cerca di fortuna alla volta della Germania. L’eco della guerra di li a poco comincia a farsi sentire. Le persone, sempre più rapidamente, smettono di essere gentili e le amicizie si infrangono. Nonostante tutto, gli strappi all’interno di una famiglia irrimediabilmente distrutta vengono ricuciti ed i tradimenti perdonati quando gli irregolari iniziano ad entrare violentemente nel villaggio.
Presentato al festival di Sarajevo poco prima di arrivare a Venezia, con questo film Tanovic vuole lanciare un messaggio di speranza: una ricomposizione è sempre possibile non solo tra moglie e marito ma anche tra popoli che parlano la stessa lingua e che per anni hanno convissuto pacificamente.
All’interno de “La settima internazionale della critica” è stato presentato il lungometraggio d’esordio del regista Israeliano Eitan Zur, famoso in patria per aver diretto una serie televisiva venduta in molti paesi. Tratto dall’omonimo romanzo di Edna Mazaya “Hitparzut X – (Naomi)”, il titolo fa riferimento ad un fenomeno astronomico, una esplosione cosmica che vede interessate una vecchia stella ed una giovane. Ilan Ben-Natar è un rinomato anziano docente di astrofisica all’università di Haifa, mentre la moglie Noemi – molto più giovane – si occupa di copertine di libri per bambini. La differenza di età tra il professore e la strepitosa moglie accompagnano ben presto la storia verso l’ormai tradizionale canovaccio, che vede un lui sospettoso di una lei e delle sue fugaci assenze, giustificate con visite ad un non ben definito amico gay. E’ emblematico come la gelosia e l’amore per la propria compagna possa portare anche un uomo di scienza verso la più bassa bestialità. Il tradimento viene ben presto scoperto da Ilan, che pedina la moglie fino alla casa del più giovane amante.
La storia prende una piega noir, senza mai cadere nel grottesco e nel banale, merito di una sceneggiatura che regge ad un ritmo lento ma mai noioso, ma sopra ogni cosa alla magistrale prova degli attori. Geniale la figura dell’anziana madre di Ilan, ironica e cinica complice del figlio quando la situazione precipita, impersona alla perfezione la figura matriarcale in seno alla tradizione ebrea.
Il nostro giro del mondo non si ferma qui. Il prossimo film che ci sentiamo di raccomandare ci conduce in Svezia. Mese di dicembre festa della luce, Santa Lucia, una famiglia felice fa colazione tra tante candele accese come da tradizione. Una telefonata getta lo sconforto nella giovane mamma. Un ospedale di Stoccolma la avvisa che la anziana madre è in fin di vita e desidera vederla.
Comincia così “Beyond”, l’esordio alla regia dell’attrice Pernilla August, già nota al nostro pubblico per il ruolo da protagonista in “Una Soluzione Razionale” dello scorso anno. Leena non vuole rivedere la madre, ma si lascia convincere dal marito a mettersi in macchina con i bambini e a tornare nei luoghi cancellati della memoria. Nei lunghi flashback si delinea la storia di una famiglia distrutta dall’inferno della violenza domestica e dall’alcool. Neppure l’incontro con la madre sul letto di morte riuscirà rimarginare ferite così profonde. Bravissimi gli attori del cast, compresa la giovane attrice nel ruolo di Leena, la protagonista, da adolescente.
Convince ampiamente il pubblico della “settimana della critica”, il debutto nel lungometraggio della regista Alix Delaporte, vincitrice nel 2006 di un Leone d’oro con il cortometraggio Comment on freine dans una descente?.
“Angèle et Tony” è uno di quei film che fanno bene al cuore. La regista francese ha scelto di girare in una zona che conosce bene fin dall’infanzia: la bassa Normandia, in un villaggio di pescatori costretti a fare i conti con la crisi economica. Due anime diversissime tra loro, unite dalla perdita di una persona cara, si incontrano attraverso un inserzione. Tony ha perso di recente il padre in mare, Angèle vuole riconquistare l’affidamento del figlio. Angèle, bellissima appena uscita di galera, ha fretta di trovare un marito. Tony, al contrario, è rozzo, poco attraente, e cerca l’amore vero senza compromessi.
Dialoghi essenziali ed un uso della cinepresa senza scossoni rimanda al cinema di Rohmer. Speriamo veramente che un lungimirante distributore consenta tutti di poter godere di questa chicca nelle sale italiane.
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