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Cinema

10.09.10
All’Orso Piace  solo “Miele”  di Roberto Ferretti
di ROBERTO FERRETTI


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Questa edizione della Berlinale, la 60esima, attesissima dal popolo tedesco, ha rappresentato una tappa fondamentale nella storia della cinematografia internazionale ed ha costituito, per il movimento culturale della capitale, un grande avvenimento. Purtroppo la qualità dei film, nella sezione principale della competizione ha un po’ disatteso le aspettative.

Si sono visti diversi lavori, in concorso, con poca lucidità e non hanno quasi mai convinto il pubblico in sala. Alcuni lavori denotavano una comune traccia, ovvero la profonda influenza sui figli della figura dei genitori.

Come si desume dal rapporto padre figlio del film vincitore “Bal” (“Miele”) del turco Semih Kaplanoglu. La storia, ambientata in un villaggio dell’Anatolia, racconta di un bambino con problemi di linguaggio che non riesce a legare con i compagni di scuola, ed un padre che passa molto tempo nel bosco alla ricerca delle api per ricavare il miele. L’orso d’oro arriva, non senza qualche perplessità da parte nostra, a termine di una trilogia iniziata qualche anno fa con “Uovo”, passando per “Latte”. Quest’ultimo visionato tra qualche pisolino nel 2008 a Venezia. Dialoghi pressoché assenti e macchina fissa su inquadrature interminabili sono alla base del cinema di Kaplanoglu.

Il Rumeno Florin Serban, pressoché un’esordiente, con il suo film Eu cand vreau sa fluier, fluier (“Se voglio fischiare, fischio”) completamente girato all’interno di un riformatorio ed impiegando solo attori non professionisti, ha costituito per noi la punta più alta di questa edizione della Berlinale. Al giovane Silviu, 17 anni, mancano poche settimane da scontare all’interno del carcere minorile. Ma la visita del fratellino gli sconvolge l’esistenza al punto che non può attendere la data del rilascio. La mamma è infatti rientrata dall’Italia per riprenderselo e portarselo con sé. Lui non vuole, detesta la madre, ritenendola capace di rovinare anche la vita del piccolo, come ha fatto con la sua. Con ogni mezzo deve evitare che gli venga sottratta l’unica persona a cui tiene veramente, e per il quale ha sopportato diligentemente, tra compagni di camerata violenti e vigilanti inflessibili, le rigide regole del riformatorio e il duro lavoro nei campi.

Premiato giustamente con l’orso d’argento, questo giovane cineasta, va ad infoltire la nutrita truppa di registi rumeni, che in questi ultimi anni hanno preso d’assalto i festival europei passando da Cannes via Venezia sino a Berlino facendo incetta di premi. In Romania, nonostante le vicissitudini della storia di questo paese, la scuola di cinema, non ha mai cessato d’essere produttiva e vivace, ma solo recentemente, ha saputo varcare il proprio confine per approdare nelle nostre sale. Appartiene alla cronaca recente “Francesca”, il film presentato a Venezia di B. Paunescu che ha scatenato l’ira della Lega e della nipote di Mussolini. “L’onorevole” Alessandra, sentitasi direttamente offesa da una battuta pronunciata durante un dialogo all’interno del Film, invocò inutilmente le autorità competenti di proibirne l’uscita.

Del 2007 ,invece, la pellicola vincitrice a Cannes “4 Mesi 3 Settimane e 2 Giorni” di Cristian Mungiu. Da menzionare, anche se non si fregia di premi importanti, “Ad Est di Bucarest” di Corneliu Porumboiu, ed il film ad episodi “ I Racconti dell’età dell’oro”, che raccoglie il lavoro di quattro registi intenti a rileggere in chiave ironica le cronache del periodo storico che interessa la Romania nei giorni Ceausescu. La summa si sintetizza con il recente “Il Concerto” del regista rumeno Radu Mihaileanu già conosciuto per l’arcinoto Train de Vie datato 1998.
Tornando all’ultima edizione della Berlinale, il film forse più tosto della sezione principale è stato probabilmente Submarino del danese Thomas Vintemberg. Probabilmente lo ricorderete, oltre che per il bellissimo film Festen, anche per essere stato co-fondatore, assieme al connazionale e più famoso Lars Von Triers, del decalogo denominato “Dogma 95”, che con le sue rigidissime regole per un quinquennio rivoluzionò il modo di fare cinema in Europa.

In questo ultimo film, Vintemberg narra le storie parallele di due fratelli ormai adulti che si incontrano dopo molto tempo. Alle spalle hanno un’infanzia passata assieme cercando di darsi sostegno l’uno con l’altro, nonostante una madre assente ed alcolizzata. Le loro esistenze sono imbevute, di violenza, carcere, alcool e droga. Un deserto di disperazione, che non lascia via d’uscita allo spettatore, solo il finale aperto, concede uno spiraglio che onestamente ci solleva da 110 minuti d’opprimente angoscia. Bello ma che fatica!

Come un’animale selvatico braccato e chiuso in angolo che diventa imprevedibile e feroce, anche il protagonista del film austriaco Der Rauber (“Il Rapinatore”), si comporta in maniera inesplicabile. Johann è un rapinatore di banche ma anche un atleta. In carcere si allena con metodo e senza posa fino a quando viene rilasciato sulla parola. Ricomincia a correre. Come sconosciuto outsider, si piazza primo degli atleti austriaci alla Maratona di Vienna e primo dei non professionisti. Questo risultato gli porta persino la vincita di diverse migliaia di Euro. Riallaccia i rapporti con una vecchia fiamma che lavora all’ufficio di collocamento, ed è seguito da un ufficiale giudiziario che lo incoraggia. Ma non è questo che cerca. I soldi continua a farli con le rapine a mano armata. Dopo aver rubato un auto, entra come un fulmine nelle banche con un fucile, un’impermeabile grigio ed una maschera. La sua natura è come quella dello scorpione della fiaba, che gli impone di pungere la rana che lo sta portando alla riva opposta del fiume sul dorso.

Due cose sole lo fanno sentire vivo, gli fanno pulsare il sangue nelle vene  portando il battito del cuore allo spasimo: correre e rapinare banche. Sembra non desiderare niente altro ma lo fa senza gioia e senza rabbia. Il suo volto rimane inespressivo, come del resto lo è la maschera che indossa quando entra in una banca o scappa a piedi rincorso dalla polizia o prende in ostaggio una automobilista. Le lacune nella struttura della storia vengono bilanciate dal regista Heisenberg, attraverso le ottime riprese, di corsa nei boschi e gli inseguimenti cittadini. Molto suggestive anche le immagini girate alle prime luci dell’alba in un paesino di montagna, dove alla partenza di una maratona gli atleti corrono con le torce in mano per illuminarsi il cammino.

Non nascondiamo che, alla vigilia del festival, temevamo non poco di raccogliere misere figure con i pochi film italiani presenti a Berlino. In realtà, dobbiamo ammettere che, visto il livello medio, il prodotto delle nostre terre si è fatto apprezzare in terra germanica.

Due lavori di giovani cineasti sono degni di nota. Il primo “Due vite per caso” di Alessandro Aronadio, nella sezione “Panorama”, si è fatto apprezzare in modo particolare dal pubblico presente alla proiezione. Forse l’applauso più lungo al qual abbiamo assistito. Una via di mezzo tra Smoke no smoke e il più recente Sliding Doors, questo film gioca sulle diverse pieghe che potrebbe prendere l’esistenza di un giovane ventenne se una determinata situazione avesse come epilogo uno scontro tra due auto oppure una frenata al limite. Da tenere d’occhio l’attore protagonista Ivano di Matteo quasi un esordiente ma che rivedremo sicuramente.
Nella sezione “Forum”, il film documentario “La bocca del Lupo” ha attirato l’attenzione degli addetti ai lavori, di sicura distribuzione, questo lavoro di Pietro Marcello, ha già fatto incetta di premi vincendo il Torino Film Festival. Un lavoro di 80 minuti circa, tra la fiction ed il documentario, una forma di fare cinema che però si discosta da entrambe. Girato a Genova, narra della storia d’amore tra Enzo, un baffuto siciliano, e Mary, una trans conosciuta in carcere. Anche se la tematica omosessuale è spesso presente nei lavori che esportiamo, da tempo non presentavamo qualcosa di stilisticamente diverso in un festival come quello di Berlino. Siamo molto speranzosi sui nuovi registi italiani. La fiamma non è completamente spenta sotto la coltre di cenere che la massiva cultura imperante da anni sta cospargendo sul cinema italiano.

 


 

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2007 La Fornace